Mussida e l'amore per Salina

Mussida e l'amore per Salina Michele Merenda SALINA – Le isole Eolie sono per definizione un territorio “magmatico”. Non soltanto per la loro origine vulcanica, ma anche per essere un luogo avvolto da secoli nel mito e per essersi rivelato spesso centro di grande creatività Non stupisce, quindi, incontrare casualmente per le strade di Malfa un personaggio del calibro di Franco Mussida, chitarrista degli storici PFM, dai primissimi anni ’70 alfieri incontrastati del progressive rock italiano in tutto il mondo. Dagli USA al Giappone, infatti, il gruppo tricolore ha sempre sventolato la bandiera della Musica con la “emme” maiuscola, incontrando consensi ovunque sia andata. Chitarrista ineccepibile a livello tecnico e ancor di più a livello compositivo, Mussida ha scelto l’isola più verde dell’arcipelago come luogo di relax e di rigenerazione. «È la prima volta che vengo a Salina – ci ha detto –. Le Eolie le avevo viste 20 anni fa dal mare, quando facevo il militare di leva su un caccia-torpediniere. In navigazione ho visto queste isole pazzesche, che mi hanno lasciato un grande segnale. Poi, per fatti strani della vita, io sono molto legato alla Sicilia ed ai vulcani; tanto per dire, un episodio che un po’ ha cambiato la mia storia è avvenuto sotto l’Etna. Però qui non ci ero mai venuto. Dopo il concerto del 26 maggio a Milazzo io e mia moglie volevamo passare un periodo di riposo. Abbiamo chiesto a degli amici qual era l’isola più vivibile e ci hanno consigliato Salina. Non la conoscevo e devo dire che me ne sono innamorato. Sarà davvero difficile che da oggi in poi, almeno una volta all’anno, io non vi faccia ritorno. Sto cercando di “sentirla”, quest’isola. C’è una specie di solennità – ha spiegato –, una potenza che non è solo nella natura nel suo essere rigogliosa; c’è la presenza di una calma veramente forte e del resto non potrebbe essere diversamente, perché qui, sotto il mare, ci sono delle “radici di fuoco” che vanno un po’ dappertutto, che uniscono i vari luoghi. Questo è un potere che ci riporta alle nostre origini e che viene fuori nella natura stessa. Mi rendo conto che questa forza possa far paura, ma alla fine siamo noi posti di fronte a noi stessi, perché aver paura? Anzi, cerchiamo di aver fiducia». Un Mussida che nonostante sia conosciuto per il suo modo di suonare la chitarra, in realtà si sente più uno scrittore. Eppure, ancora oggi, quando viene eseguita “Maestro della Voce” tutti si chiedono cosa si inventerà “Francone” nell’assolo centrale. «Perché sono sempre stato un improvvisatore – ha chiarito –, come quando facciamo “Amico fragile” di De André. L’improvvisazione è una composizione in tempo reale, quindi improvvisa chi compone». Una collaborazione con l’indimenticato cantautore genovese iniziata nel 1970. « Fu un bellissimo incontro, anche perché a me non piaceva assolutamente la musica che faceva – a rivelato a sorpresa – e glielo dissi pure. Non riuscivo a sentire i suoi dischi, erano suonati male ed arrangiati peggio. Le sonorità erano terrificanti, a me interessava il suono e quindi le parole non riuscivo neanche ad apprezzarle. C’è voluto che ci mettessimo uno di fianco all’altro, a tre metri di distanza, registrando in diretta. Lì mi sono goduto la pienezza non soltanto di un grandissimo cantante, ma anche di un grande intellettuale della nostra Repubblica. Una persona straordinaria». Come straordinario fu quel periodo per la musica in generale, anche quella italiana. «Quelli erano anni – ha ricordato Mussida – in cui si respirava un senso dell’Arte che oggi si respira poco, anche a livello culturale. Si respirava un bisogno di espressività, di spirito religioso… Erano degli anni molto ma molto particolari, che assomigliano a questi luoghi (e si guarda attorno – N.d.A.). Quello che c’è qua aleggiava a quei tempi sulle città del Nord e faceva sì che i ragazzi, i quali hanno sempre avuto bisogno di idealità, comprendessero che l’Arte era e doveva essere un ideale. La gente si fermava, i ragazzi si mettevano in stanza ad ascoltare i dischi senza fare altro. C’era un bisogno di contemplazione, di sentire. Oggi la musica la si ascolta facendo sempre qualcos’altro, mentre all’epoca c’era proprio la percezione di quanto fosse importante dedicare quel tempo affinché la musica lavorasse dentro di te e ti aprisse canali, spazi, che ti desse altre possibilità». Ricordiamo che Franco Mussida dirige il Centro Professione Musica di Milano, occupandosi di comunicazione musicale non verbale e di sperimentazione didattica. Nel 1987 ha portato la propria esperienza nei corsi formativi all’interno del carcere di San Vittore. Tutte situazioni che hanno contribuito alla creazione nel 1997 della “Sinfonia popolare per 1000 chitarre”. (nella foto: Franco Mussida a Malfa)

a cura di Peppe Paino

Data notizia: 6/4/2012

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