Iniziammo a salire verso il cratere del primo vulcano; a ogni passo udivamo la terra risuonare sotto i nostri piedi come se stessimo camminando su delle catacombe. Dopo una seconda arrampicata di circa un'ora ci trovammo sul ciglio del secondo vulcano; al suo interno, in mezzo al fumo che fuoriusciva dal centro, scorgemmo una miniera intorno alla quale s'affannava un'intera popolazione. Ci vollero circa venti minuti per raggiungere il fondo di quella immensa caldaia; via via che scendevamo, il calore del sole, combinandosi con quello della terra, diveniva più intenso. Arrivati alla fine della discesa fummo obbligati a fermarci un momento: l'aria era appena respirabile.
Sarebbe stato difficile vedere qualcosa di più bislacco dell'aspetto di quegli infelici forzati: a seconda dei diversi filoni di roccia a cui lavoravano, avevano finito coll'assorbirne il colore; alcuni erano gialli come canarini, altri rossi come gli uroni, questi infarinati come pagliacci e quelli tinti con il bistro come mulatti. Non era facile credere, di fronte a quella mascherata grottesca, che ciascuno degli uomini che ne facevano parte era lì perché aveva rubato o perché aveva ucciso. La nostra attenzione era stata attratta in particolare da un ragazzetto d'una quindicina d'anni dalla figura aggraziata come quella d'una fanciulla. Chiedemmo qual era il suo reato: all'età di dodici anni aveva ucciso con una coltellata un domestico della principessa di Cattolica.
Data notizia: 11/27/2016
dalla nostra Daniela Bruzzone
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