"Terrorismo e strategia della tensione" (2)

"Terrorismo e strategia della tensione" (2) segue Ma la strategia della tensione non fu un fenomeno tipicamente italiano. Questa fu adottata in maniera ancor più cruenta in America Latina. Il 1973 fu l’anno del golpe in Cile e a farne le spese fu il governo democratico di Allende formatosi nel 1970 ed inviso all’americano Kissinger che in una nota l’appellò come il tentativo di “un processo di democratizzazione non conveniente agli USA”. Flamigni tra l’altro ha fatto notare la profonda affinità esistente tra i maggiori partiti italiani e quelli cileni, nonché la forte tradizione cattolica comune ai due paesi. In sostanza la situazione cilena era per molti aspetti simile a quella italiana e ciò non escluderebbe, di conseguenza, la possibilità che gli USA avessero progetti analoghi per il “Bel Paese”. In quest’ottica, secondo l’analisi di Flamigni, «la “strategia della tensione” si sarebbe configurata come il tentativo da parte dello Stato più forte, gli USA, di imporre agli “Stati satellite” una “sovranità limitata” atta a mantenere intatti gli equilibri economico politici tra occidente ed oriente». In questo contesto la tensione generatasi in Italia sarebbe solo il periferico riflesso di quel conflitto di mondi che si diede alla storia sotto il nome di “guerra fredda”. Ed è in questo contesto che s’inserisce anche la vicenda dell’allora Segretario della Democrazia Cristiana. A detta di Flamigni Aldo Moro fu un vero e proprio elemento di disturbo per i dirigenti della politica americana in Italia. Le sue velleità di apertura ai partiti della sinistra italiana poco si confacevano al progetto americano di fare della penisola una roccaforte dell’occidente liberista nel mediterraneo. «Nel 1974 – ha ricordato il Senatore – Moro accompagnò negli USA il presidente Leone, in visita ufficiale. Lì fu oggetto di alcune minacce. “O cambi politica o farai una brutta fine” gli fu detto. Di ritorno in Italia fu ad un passo dall’abbandonare la politica per sempre» . Ma il proposito fu presto accantonato. Di lì a poco sarebbe nato il primo governo Moro, improntato alla prudenza e alla distensione e caratterizzato da importanti riforme come quella sanitaria e quella che portò al rafforzamento del potere d’acquisto dei salari italiani. Nel frattempo la “strategia della tensione” cambiava il suo modo d’agire: veniva accantonato il terrorismo di massa che non faceva altro che rafforzare l’orgoglio e la voglia di riscatto e di sollevazione del popolo (nel 1975 socialisti e comunisti aumentavano i loro consensi e Moro cominciava ad affermare che la Dc non avrebbe potuto più governare da sola ancora a lungo e che bisognava aprirsi alle sinistre) e si inaugurava la via ad un terrorismo mirato, individuale, che privilegiava bersagli isolati. Alle politiche del ’76 Dc e Pc risultarono i due partiti più forti sulla scena nazionale. Nello stesso anno durante il Convegno delle 7 potenze mondiali riunite a Portorico Flaminigni ha ricordato che «Moro e Rumor vennero messi alla porta quando ci fu da discutere degli aiuti finanziari da destinare all’Italia. Il prestito fu poi concesso a condizione che i comunisti fossero stati tenuti lontani dal governo». Ecco dunque il concetto di “sovranità limitata” poc’anzi espresso. Ma l’idea di Moro era probabilmente un’altra: «una maggioranza parlamentare programmatica con la partecipazione dei comunisti». E fu probabilmente questa l’idea che fece da preludio al suo tragico destino. Al contrario del Senatore Flamigni che ha concentrato il suo intervento sugli aspetti politico strategici che hanno sotteso alla “strategia della tensione", Agnese Moro ha preferito ricordare la figura del padre in quanto uomo. Dagli anni della giovinezza al primo incarico universitario, dall'impegno in direzione della piena democratizzazione del paese agli ultimi giorni della sua vita, il percorso di Aldo Moro si è rivelato, attraverso le parole della figlia, un altissimo esempio di intelligenza e umanità, impegno e riflessione, ascolto e dialogo, rispetto e riconoscimento, individuando nei suoi 55 giorni di prigionia il suo «ultimo impegno giuridico, politico e civile». Giuseppe Giarrizzo

, a cura di Peppe Paino

Data notizia: 12/1/2010

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