Riceviamo dall'avv. Nunziello Anastasi consulente legale di alcuni cacciatori , in replica ad una nota dell'ing. Francesco Mirabito:
OGGETTO: lettera aperta all’ing. Francesco Mirabito
Gentile Ingegnere,
certi amici eoliani – che, in forza di una licenza statale, esercitano da decenni l’attività venatoria – mi hanno segnalato la Sua pregiata, pubblicata su di un rispettabile notiziario web, chiedendomi di chiarire alcuni dubbi insorti a seguito della lettura del Suo scritto.
Accogliendo (peraltro di buon grado) il Suo invito a replicare alle opinioni da Lei espresse, Le dico subito che Lei ha ragione allorché afferma che nelle Sue valutazioni “ci deve essere qualche errore”.
Si tratta, chiaramente, di errori commessi in buona fede da chi non ha una formazione giuridica, ma che non possono non apparire evidenti anche al meno accorto degli operatori del diritto.
Passo dunque, di seguito, alla dettagliata replica che Lei attende, confidando di riuscire a dimostrarLe l’erroneità di certi Suoi ragionamenti.
1) La materia del diritto “venatorio” può intanto definirsi “multidisciplinare”, giacché la semplice regolamentazione della caccia non può prescindere dalla sovrapposizione e dal coordinamento
di numerose norme regolamentari e legislative regionali, statali e comunitarie, che abbracciano, inevitabilmente, anche la legislazione ambientale, con cui quella venatoria è intimamente connessa.
Le dico subito, però, che il D.D.G. dell’ARTA (Assessorato Regionale Territorio ed Ambiente della Regione Sicilia) non contiene la disciplina dell’attività venatoria, né può intervenire nella materia, salvo che per gli aspetti di cui Le dirò subito infra.
Invero, la L.R. 33/1997 (legge regionale sulla caccia, materia per la quale la Sicilia conserva potestà legislativa esclusiva), peraltro in attuazione e specificazione della legge quadro statale (L. 157/1992), attribuisce all’Assessore all’Agricoltura il compito di normare, nell’ambito dei principi della legge quadro, l’attività venatoria in Sicilia.
Solo l’Assessore all’Agricoltura può insomma stabilire quando e dove si può andare a caccia nel rispetto dei limiti generali della L. 157/1992 e della normativa comunitaria.
L’Assessorato al Territorio ed all’Ambiente ha viceversa competenza in materia di valutazione di incidenza ambientale per ogni piano o progetto (ivi inclusa la pianificazione e regolamentazione venatoria) suscettibile di esercitare ripercussioni sui Siti della Rete Natura
2000. Compito dell’ARTA è quindi nella specie quello di esprimere la suddetta valutazione, con le modalità di cui al D.P.R. 357/1997, in relazione agli effetti che l’attività venatoria può esercitare
sui Siti Natura 2000; di tale valutazione l’Assessore all’Agricoltura dovrà tenere conto nell’emanare la regolamentazione dell’attività venatoria, che si definisce “Calendario Venatorio” e che troverà pubblicato sulla G.U.R.S. di venerdì 26/8 u.s..
Il presunto divieto di caccia nelle ZPS e nei SIC (o, peggio, nei buffer circostanti) non può nascere, quindi, da un D.D.G. dell’ARTA, anche perché l’attività venatoria è consentita (al pari di altre attività umane) all’interno della Rete Natura 2000, previa opportuna valutazione di
incidenza (sito per sito) e con l’applicazione delle misure di conservazione di cui al D.P.R. 357/1997, mentre, per le zone limitrofe circostanti, analoghe misure di protezione possono (ma non debbono) essere adottate (in applicazione dell’art. 1, comma 5 bis, L. 157/1992) qualora ciò non comporti nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.
2) Contrariamente a quanto Lei afferma, l’attività venatoria nei Siti della Rete Natura 2000 non può costituire illecito penale, quand’anche essa sia esercitata in difformità rispetto ai criteri minimi uniformi o alle misure di conservazione dettate dall’Amministrazione regionale.
La pronunzia del Consiglio di Stato cui Lei fa riferimento nella parte centrale del Suo scritto risale al 2006 ed è stata resa in un contesto normativo assai diverso da quello attuale. Effettivamente, il Comitato delle Aree Protette (organo ormai soppresso e sostituito dalla
Conferenza Permanente per i rapporti Stato-Regioni), con propria delibera del 2/12/1996 aveva equiparato il regime di protezione di Sic e Zps alle aree protette dalla Legge Quadro sui Parchi (L. 394/1991).
Tuttavia, tale delibera è stata annullata con D.M. del Ministero dell’Ambiente del 25/03/2005, avverso il quale è stato proposto ricorso al TAR Lazio, che ne ha disposto la sospensione;
successivamente, con D.M. 17/10/2007, lo stesso Ministero dell’Ambiente ha chiarito quale fosse il regime di protezione applicabile a tali zone, dettando i c.d. criteri minimi uniformi, che
prevedono anche l’esercizio dell’attività venatoria; indi, la delibera dell’ormai soppresso Comitato è stata modificata con deliberazione adottata ai sensi dell’art. 2, comma 8, lettera c)
D.Lgs. 281/1997 in data 26/03/2008 ad opera della conferenza Permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province Autonome; infine, il TAR Lazio, sez. II bis, con sentenza n°
745/2009, ha dichiarato improcedibile il ricorso promosso avverso il D.M. Ministero dell’Ambiente del 25/03/2005, che aveva annullato la medesima deliberazione del Comitato per le Aree Protette del 2/12/1996. Pertanto, a seguito della reviviscenza del provvedimento ministeriale abrogativo e delle modifiche normative medio tempore intervenute, non esiste nel nostro sistema giuridico alcuna
norma che equipari il regime di tutela di SIC e ZPS a quello dei parchi e delle riserve naturali di cui alla L. 394/1991.
, a cura di Peppe Paino
Data notizia: 8/30/2011
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