Gazzetta del Sud
Con la circolare n. 58/2009 dell'Inps si è definito «un utilizzo flessibile degli strumenti di sostegno al reddito al fine di consentire alle imprese il superamento dell'attuale periodo di crisi, modulando l'utilizzo della forza lavoro in relazione all'andamento dei mercati nazionale e internazionale».
La legge n. 164 del 1975 stabilisce che l'integrazione salariale «è corrisposta fino a un periodo massimo di tre mesi continuativi; in casi eccezionali detto periodo può essere prorogato trimestralmente fino a un massimo complessivo di 12 mesi». Nel contesto di una organizzazione lavorativa fattasi sempre più flessibile e in coincidenza con una congiuntura che impone assetti orari sempre meno rigidi, «si è definita una interpretazione evolutiva della norma» d'intesa con il ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche sociali. L'obiettivo della circolare Inps è quello di fissare «un nuovo e più flessibile criterio di computo dei limiti temporali di concessione del trattamento di integrazione salariale ordinaria». Il nuovo computo, e il conseguente limite massimo, non si riferiscono più alle intere settimane di calendario, ma «alle singole giornate di sospensione del lavoro e considerando usufruita una settimana solo allorché la contrazione del lavoro abbia interessato sei giorni, o cinque in caso di settimana corta». Pertanto d'ora in avanti le aziende che utilizzano settimane solo parzialmente «comunicheranno all'Inps il numero di settimane effettivamente usufruite (somma dei singoli giorni diviso 5 o 6) affinché l'Istituto ne tenga conto ai fini del computo delle 52 settimane». Intanto, l'istituto in una nota ricorda di avere avviato un piano straordinario di verifica sulle invalidità civili, con 200.000 lettere inviate però a campione, per diminuire il rischio di procurare disagi a soggetti certamente invalidi. I quali, comunque, possono in ogni caso comunicare l'impossiblità di aderire alla richiesta di controllo. Il riferimento è stato al caso di un titolare di pensione cui era stata richiesta una verifica, ingenerando il timore nei familiari che potesse perdere la pensione. Il disguido, spiega l'Istituto, nasce dal fatto che ancora non esiste una banca dati condivisa con l'Ausl che contenga anche le diagnosi.
, a cura di Peppe Paino
Data notizia: 4/23/2009
dalla nostra Daniela Bruzzone
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